Vuoto Catodico

una breve riflessione sul delitto di Avetrana.Forse sbaglierò, ma nella summa di questo dramma trovo una singolarità, che ritengo essere molto italiana. L'effetto domino di una nazione che oramai da 30 anni almeno si guarda dallo schermo TV e gradatamente, grazie ad una miriade di fattori, soprattutto ad una non oculata distribuzione delle concessioni televisive con conseguente duopolio Rai-Fininvest(poi Mediaset), giunge a mutuare significato e relativo peso di qualunque evento del reale solo tramite la "digestione" che di esso ne fa la televisione (SE la fa: nessuna digestione equivale a non esistenza), è che il reale E' il catodico.In Italia in pratica è come si vivesse in un Matrix (non il programma, ma il film) omologante e banale, inzuppato nella religione del "reality". Secondo l' "equazione" sopra esposta, se ne deduce che, cercando la TV di descrivere una realtà che aspetta l'occhio della telecamera per essere creata, nasce un cortocircuito, in cui la realtà del Belpaese è affollata di marionette dietro un sipario che potrebbe rimanere sempre chiuso.
Ad Avetrana invece si è aperto.
Lungi da me moraleggiare su qualcosa di tragico (ed anche su l'etichetta di "tragico" bisognerà chiosare a piè d'articolo), ciò che trovo inquietante non è quello che è, o quello che ci viene raccontato essere successo, ma come l'inserimento di un istinto ancestrale, quello sessuale, (ancora? )non sottomettibile a logiche da "reality", per di più puro, non contaminato dal calcolo civilizzatore, ma pieno della potente spinta che rende ineluttabile al predatore che adocchi una preda di una taglia inferiore alla sua, di cacciarla, abbia reso un evento televisivo mediamente ghiotto (la sparizione di una giovane) in una miniera di ascolti, accellerando il meccanismo "digestivo" noumeno-TV-fenomeno in maniera parossistica, tanto da generare il fenomeno della "metarealtà", ovvero di una realtà che non parlà più di se stessa ma vive la vita che vede viversi, come nel paradosso del pittore che dipinge un quadro di un paesaggio in cui c'è un pittore che dipinge un quadro di un paesaggio in cui c'è un pittore che dipinge....ecc ecc. Fare un passo indietro tirandosi fuori da questo vorticoso "orizzonte degli eventi", ci pone quasi sul bordo di quest'enorme buco nero. E pone interrogativi inquietanti.
Esempio: diretta "Chi  l'ha visto",ovvero brutale reality improvvisato sulla morte di una povera disgraziata.Si.Come mai la madre non ha MAI avuto l'istinto di mandare tutti fuori dalle scatole?
Passo indietro. Telecamere, giornali, cronisti almeno negli ultimi 10 giorni presenti a frotte in un paesino di coltivatori: intrusioni nelle vite private, interviste ed altre impertinenze. Come mai NESSUNO si è mai ribellato chiedendo silenzio e rispetto (ATTENZIONE:nemmeno le autorità ecclesiastiche!)?
Ulteriore passo indetro: centesima intervista alla madre della defunta (CENTESIMA); fuori onda con mamma che prepara le domande "... e se mi chiedi su chi non nutro dubbi nella mia famiglia, devo dire....". 
Ultimo passo indietro: funerali di Sarah.Pubblici.folla urlante all'esterno tra ingiurie allo zio-orco e solidarietà grezza. Mi concendo un ultimissimo mezzo passo indietro. Intervista a coppia adolescente di giovani, gli ultimi ad aver visto Sarah, che conoscevano A MALAPENA, mentre entrava nel presunto garage della mattanza.Tutti acchittati, lei con degli enormi occhiali da sole stile anni '60, firmati.
In tutti questa vicenda, vista da 3 passi e mezzo indietro, noto un agghiacciante desiderio di "significato", declinato nei modi di cui sopra, quindi di vera e propria "esistenza". Tutte queste persone, sembrano aver avuto bisogno, per elaborare un lutto apparentemente importantissimo, di mostrarlo davanti alla telecamera: TUTTI, famiglia compresa. Semplicemente, in un paesino cresciuto ed educato in epoca "catodica", è esploso un evento che ha liberato il geyser "vivifico" della presenza televisiva:  come una fontana, tutti hanno voluto abbeverarsici, anzi: hanno DOVUTO, a partire dalla mamma della scomparsa, la quale senza il "significante" veicolato dalla televisione, non avrebbe potuto definire e soppesare questo evento. Chiedere di spegnere le telecamere ed andarsene avrebbe ridato una sfera umana ed intima a ciò che di umano non ha avuto (e continua a non avere) nulla. La TV ha bisogno dello spettacolo della morte per proliferare e la gente di Avetrana ha avuto bisogno dell'occhio della TV per dare alla morte un significato. E la gente dall'altra parte dello schermo?
Mi viene in mente Umberto Eco e la chiusa del "Nome della Rosa":-"stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus" dopo la morte della rosa, rimane solo il suo nome, e a noi rimangono solo i nomi nudi e crudi: cosa ci porta a dare il nome di "tragedia" a questa vicenda di cronaca nera italiana? Basta una morte? O la "tragedia" è altrove? Cosa vuol dire al giorno d'oggi la parola "tragedia"?

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